di Emanuela Macrì
Non c’è cilindro, marmitta, blocco motore o telaio che per arrivare a posizionarsi in griglia di partenza non passi dal box delle verifiche tecniche, per la punzonatura prima della gara e il controllo della conformità al regolamento, a livello tecnico, poi. E non c’è pilota, per questo, che non conosca o abbia incontrato almeno una volta, Massimo Novara. Anche se qualcosa che non tutti sanno ancora, forse c’è.
Ai Trofei Malossi, infatti, Massimo ci arriva in sella a un MVR, un ciclomotore 50cc a marchio Malossi disegnato e prodotto dai tecnici di Calderara di Reno. “Nel 1996 e per una combinazione di fattori: da una parte la voglia di trascorrere del tempo con gli amici, dall’altra il piacere delle gare su due ruote. In un ambiente che mi sarà familiare da subito e rimarrà tale anche dopo l’abbandono, qualche anno più tardi, alle sfide sull’asfalto”.
Un passaggio, forse, non semplice per una persona come lui, che l’agonismo ce l’ha nel sangue. Ed è, senza dubbio alcuno, il suo tratto distintivo, il marchio di fabbrica. “Per me tutto è una competizione. Qualsiasi confronto, qualsiasi prova non posso che affrontarla come una sfida. Dando tutto il gas possibile: in pista, come nella vita e nelle verifiche, se dedico del tempo a un’attività lo faccio con la massima precisione e con lo scopo di portare a casa il miglior risultato possibile”.
Andando anche oltre. “Perché non vincere (e no non cercate, in questa intervista, il verbo perdere: sarebbe tempo sprecato - NdR) mi rode, anche se so accettare una sconfitta, purché arrivi dopo aver dato tutto quanto avevo da dare. In una tensione continua che, senza nevrosi, tiene alto il livello d’attenzione e mi fa stare con l’orecchio teso a quel motore interno, sempre acceso”. E le note, ideali, nel suo curriculum alla voce Trofeo Ipermatic raccontano proprio questo.
“Tralasciando la più conosciuta e raccontata delle vicende” quella che oramai tra i corridoi dei Trofei Malossi ha assunto i contorni di una vera leggenda “quando sull’asfalto del circuito di Val Vibrata, a Teramo a causa di una caduta mi procuravo una temporanea amnesia capace di farmi dimenticare perfino la premiazione. Più emblematica, invece, quella seconda piazza conquistata al kartodromo di Nizza Monferrato sotto un diluvio universale e nonostante un piede fratturato a causa di una scivolata senza conseguenze per la classifica”.
Ma con un gesso all’arto inferiore, uno dei ben dodici rimediati in carriera, ad accompagnare la coppa alzata in quell’occasione. “Da pilota, infatti, mi contraddistinguerò per i tanti incontri ravvicinati con l’asfalto. E non certo per quella predilezione per la pioggia, utile per colmare una inferiorità in termini di velocità, ma quale tributo pagato a tutti i rischi presi pur di stare davanti, pur di strappare un posto migliore in classifica”. In un motociclismo diverso da quello di oggi in cui emergere significa ottenere la massima precisione facendo i conti con il minimo margine d’errore concesso.
Cambiamenti riscontrabili anche nell’ambito delle verifiche tecniche “che negli anni si sono fatte più stringenti risultando, sulle prime, magari poco digeribili. Con il tempo, però, si è compreso quanto un controllo condotto con serietà e severità non sia un dito puntato contro la persona ma, anzi, miri al vantaggio di piloti e team che, in questo modo, possono beneficiare della condizione di parità, con la garanzia del rispetto di un principio essenziale, in pista, quale quello dell’equità”.
Il tutto assicurato da un lavoro di squadra, grazie alla presenza nel medesimo box dei commissari federali che si occupano, anche, della sicurezza. E dallo sguardo attento di Massimo che poco prima dello spegnimento del semaforo si sposta verso il circuito. “Per il piacere e l’interesse di seguire ogni gara ma, anche, per cogliere eventuali irregolarità in pista da verificate al termine della manche al parco chiuso, dove i piloti sono tenuti a consegnare i propri mezzi”.
Sempre che al dopo gara ci si arrivi. “Evitando – conclude Massimo, ora ridendone grazie all’effetto balsamico del tempo – di trascorre la domenica a caricare il furgone con i pezzi superstiti della moto, anziché in pista a battagliare, come accadde a me a Busca, in un fine settimana partito a tutto gas e con la pole position come primo obiettivo da centrare, ma concluso dopo un solo turno di prove cronometrate”.
Tutta colpa di quella frenesia e dell’istinto. Di quel motore, interno, sempre acceso che ti dice di tentare, dare tutto quello che hai da dare e, se possibile, di andare un po’ oltre. Con tutto il gas quello che puoi, poca calma e poi, magari, anche un po’ di gesso.