Antonio Paduano: istinto e cuore. Da Salerno ai Trofei Malossi

Nato nel cuore della città di Salerno, anche se a volte dicono di lui come del battipagliese. E l’errore, se vogliamo, può non essere considerato tale. Perché è sul Circuito del Sele che Antonio Paduano incontra una vita e, quindi, una (ri)nascita: da ragazzino, infatti, ai tempi dello Zip sempre su una ruota e ad ogni curva la dose di giusto gas per affrontarla di traverso, Battipaglia e il suo circuito li frequentava spesso, con gli amici. Quando in tasca al posto dei soldi del biglietto di ingresso c’erano le fragole raccolte durante il percorso che portavano alla postazione da dove, poi, avrebbero seguito le gare. 

Proprio lì, con la bocca piena dei piccoli frutti ad accompagnare lo spettacolo come i popcorn al cinema e nella testa quel pensiero: “io, lì ci potrei stare. E mica solo in pista: sento che potrei stare nella testa del gruppo a giocarmela tutta, davvero”. Lì davanti a dare battaglia, come farà negli anni successivi, quando al posto delle fragole a dare gusto alle domeniche saranno gli scarichi degli scooter e il sapore delle battaglie in pista. Quelle con Alessandro Melone e Alfonso Cirillo e, ancora, quelle con i fratelli Russo. 

Tra queste quella memorabile, sulla pista dell’Autodromo del Levante di Binetto a Bari, quella volta in cui Santo Russo, che aveva deciso di partecipare alla gara pur non essendo la sua categoria, ce ne stavamo davanti appaiati, con il rischio di sfiorarci o peggio. Quando con il ginocchio a terra e il suo fiato sul collo decidevo di infilarlo dall’interno nel tratto tra le ultime due curve, la Bari1 e la Bari2 che da quel giorno, merito della fantasia di Gennaro Scelzo, per noi sarebbero state diventate la Padux1 e la Padux2.”

Momenti di gloria anche se, in pista, non si vivono solo quelli. E Antonio lo sa bene. “Perché ci sono occasioni che ti sfuggono senza la possibilità di porvi rimedio. Ripenso alla gara di qualche anno fa a Benevento, dove arrivavo sulla griglia di partenza con il titolo a un solo passo e lo vedevo andarsene all’ultimo giro. Dalla testa della gara, abbandonato di colpo dall’albero motore, seguivo la fine della manche seduto sugli pneumatici posizionati a bordo della pista. Mischiando, lacrime di delusione alle gocce di pioggia.”

Attimi di sconforto che gli abbracci di meccanici e preparatori, poi, contribuiranno a ridimensionare. Perché non c’è delusione che potrebbe tenerlo lontano dai Trofei Malossi. E i sacrifici fatti in questi anni per partecipare, dribblando impegni professionali e incrociando date e turni, gli arrivi all’ultimo minuto rinunciando alle prove libere di un sabato lavorativo, la dicono lunga. Raccontano di un pilota tutto cuore e istinto.

Di un Antonio Paduano che non calcola ma lascia fare “all’impulso. Quello che mi fa andare un po’ oltre il limite, appena ne vedo uno. Perché credo che arrivare a quel confine sia l’unico modo per comprendere se c’è qualcosa che non funziona e per studiare il modo di intervenire. Per migliorare, soprattutto in pista: insistere sul gas per mettere a dura prova le sospensioni e il motore, per far emergere eventuali difetti. E capire dove poter posizionare la prossima asticella.”

Anche perché “in gara può succedere di tutto. Come quando a biliardo ti trovi nella stecca la possibilità di aprire il gioco e, con la boccia bianca, andrai a colpire tutte le altre. Non si può sapere se e quali biglie finiranno in buca. Ecco, nei momenti caldi della gara spesso è così e allora sai che dovrai fare la tua parte, i conti con quei limiti da gestire e superare, se possibile.”

E ogni tanto tirare le somme di tutta l’esperienza fatta fin qui, dai venerdì dei Trofei Malossi in cui riusciva a fare qualche giro in pista a bordo di uno scooter un po’ sbilenco fino al pilota esigente che è diventato. Passando per quel primo titolo del campionato sud ottenuto nel 2008 e tanti altri podi e trionfi. “La pista mi ha cambiato, fatto maturare e capire quanto ogni limite sia una sfida che, però, va affrontata con testa e giudizio.” Senza dimenticare l’istinto e quel cuore, salernitano. 

Emanuela Macrì